Matrimonio in bicicletta

Come comincia il progetto di un pezzo di vita insieme? Per alcuni in bicicletta. Oggi raccontiamo la storia di Francesca e Vittorio che nel mese di settembre hanno deciso di sposarsi utilizzando la bicicletta per andare in chiesa.

Un bel racconto fatto di qualche incertezza iniziale e di tante certezze nelle fasi successive, fatto di speranze e buoni propositi.

Entrambi continuano ad andare a lavorare quasi sempre in bicicletta, continuano andare anche a fare la spesa in bicicletta specialmente nei negozi in centro intorno alla loro abitazione mantenendo quindi vivo quello che si chiama commercio di prossimità.

Uno dei loro sogni nel cassetto è quello di riuscire a vendere una delle macchine che hanno a disposizione e di comprarsi una cargo bike.

Sono consapevoli del grande lavoro che c’è ancora da fare per mobilità leggera in città perché il comportamento di molti automobilisti e l’eccessivo numero di auto in circolazione tutti i giorni e a tutte le ore sia effettivamente un problema che assilla anche quelli che invece in bicicletta vorrebbero andare.

È abbastanza evidente che se ci fossero meno auto in circolazione si libererebbe molto più spazio anche per gli altri utenti della strada e quindi segnatamente per le biciclette e, se ci fossero più biciclette in circolazione molte persone sarebbero più tranquille di potersi muovere in maniera agevole all’interno della città senza essere continuamente assediate da auto in doppia fila, in divieto di sosta, auto che premono alle spalle e che sono il clacson ogni più sospinto.

Due ragazzi convinti della scelta della mobilità leggera all’interno della città, anche per il loro giorno speciale ossia il matrimonio.

Li abbiamo intervistati in una tiepida giornata di settembre, seduti fuori da un bar in centro e ne è venuto fuori un racconto molto simpatico, a tratti molto profondo, denso di tutte quelle domande che in molti si fanno normalmente.

Come vi è venuta l’idea di questo tipo di matrimonio?

La scelta è nata dalla voglia di rendere la cerimonia una parte della nostra vita, intimamente collegata, poco impattante. Volevamo fare qualcosa che fosse un parte di noi. E siccome spesso usiamo la bici, ci siamo domandati perché non usarla anche per il matrimonio. Quindi ci siamo goduto questi momento anche quando ci siamo spostati da casa fino in chiesa. Un momento quasi meditativo. Diciamo che siamo rimasti molto vicini a “noi stessi”. Dice Francesca “Mi sono gustata ogni istante del percorso fino in chiesa, con le persone che conoscevo e l’ambiente che avevo frequentato che mi accompagnava in questa giornata speciale”.

Come l’hanno presa i parenti e gli amici?

(ridono…) Questa cosa ha seminato il panico a casa perché si preoccupavano di capire come ci saremmo spostati, il vestito, i capelli… abbiamo potuto apprezzare il tragitto verso la chiesa pensando a cosa stavamo andando a fare. Abbiamo scremato tutte le cose che ci avrebbero costretto a fare scelte: autista, automobile, il pass per il centro. La bicicletta in centro è stata una scelta facile. Con l’unica accortezza di portare le bici in chiesa per evitare che ce le fregassero.

Ma fra i vostri amici, quanti sono rimasti sorpresi?

All’inizio – risponde Francesca – abbiamo deciso di lasciare molti con questa sorpresa perché non tutti sapevano che saremmo arrivati in bicicletta. Qualcuno si aspettava qualcosa di inusuale perché ci conoscono e sanno che questo fa parte del nostro essere quotidiano. Anche il rientro a casa lo abbiamo fatto coi nostri mezzi perché doveva essere una parte del nostro percorso di vita. Quindi a casa a piedi e con la bicicletta a mano, anche se abbiamo provato a salire in bici ma gli abiti non aiutavano.

Che lavoro fate?

Io – dice Vittorio – lavoro in Ospedale a Busto e uso la bicicletta per andare al lavoro, perché l’Azienda mi ha messo a disposizione un’area protetta dove lasciare il mezzo. Aggiungo io che come al solito le facilitazioni incentivano l’uso. Come trovare sempre un parcheggio per la macchina finisce per spingere le persone ad usarla, sempre, spesso in maniera scriteriata.

Poi continua “ho scoperto che specie al pomeriggio impiego meno ad andare in bicicletta che ad andare in macchina, perché il viaggio in macchina non tiene in considerazione il tempo impiegato per andare in garage, tirare fuori la macchina, percorrere la strada, cercare parcheggio e poi arrivare fino in reparto. Con la bicicletta, se voglio, mi fermo direttamente davanti all’ingresso del mio reparto. E si risparmino tanti minuti. Francesca che si occupa di sostenibilità ambientale è laureata in ingegneria ma lavora molto da casa per scelta aziendale e di tanto in tanto va a prendere Vittorio al lavoro, in bicicletta e pedalando tornano a casa.

Che età avete?

Francesca sorride e mi dice “io ho 32 anni e Vittorio 36, non siamo due giovincelli… però l’età in questo caso ci ha fatto acquisire una visione più responsabile rispetto alla mobilità in città. E le difficoltà “climatiche” passano quasi sempre in secondo piano. Certo, occorre organizzarsi per la pioggia o per il freddo. Ma sono tutte cose che si possono fare”

Siete contenti del percorso intrapreso, siete propensi a continuarlo?

Si, siamo anche coscienti che non saranno sempre tutte rose e fiori ma ci piace affrontare i problemi quando si presentano. Fasciarsi la testa prima di romperla non aiuta.

Pensate che con eventuali bambini sia ancora possibile?

Si apre un bel tema sulle cargobike e Vittorio si illumina in viso. “Siamo stati 4 giorni a Copenhaghen a maggio ed abbiamo passato 4 giorni ad ammirare un ambiente pieno di biciclette al posto delle auto… ci stiamo pensando, documentandoci sui costi e sulle possibilità. Abbiamo visto bambini sui cassoni delle cargo che hanno una percezione diversa del mondo che li circonda perché ci sono immersi dentro e non lo vedono solo attraverso il vetro di una macchina.” “di sicuro quando amplieremo la famiglia diventerà uno dei nostri mezzi per lo spostamento.” “in questo momento siamo alle borse da bici che ci hanno regalato per cui sfruttiamo la presenza di numerosi negozi qui in zona per fare la spesa e di tanto in tanto prendiamo la macchina per andare a fare la spesa che sarebbe complesso trasportare nelle borse. Sappiamo che la spesa in città costa un po’ di più di quella in alcuni supermercati ma pensiamo anche a quanto imballaggio non dobbiamo utilizzare perché prendiamo prodotti freschi direttamente in negozio. E tutto questo è condiviso perché siamo convinti entrambi della bontà di questa visione e di queste scelte.

Si intrecciano i discorsi sulla mobilità con le scelte di vita e le scelte personali. Che accomunano Francesca e Vittorio.

Quanto contano le reti familiari e degli amici?

“La nostra famiglia cerca nel suo piccolo di essere poco impattante. Mio nipote per 5 anni è andato a scuola in bicicletta. Si è reso conto che impiegava meno tempo, arrivava più rilassato e da ultimo risparmiava i soldi del bus. Al Liceo Scientifico qui a Busto hanno fatto una campagna per riaprire il parcheggio protetto delle bici e quest’anno probabilmente riusciranno a farlo. Abbiamo tanti amici che condividono la nostra passione coi quali spesso usciamo a pedalare”.

E mi raccontano di un viaggio da Milano a Pavia lungo i canali di qualche mese prima durante il quale hanno bucato e sono stati “salvati da un’anima pia” che gli ha riparato la bicicletta.

“Ci siamo accorti che anche dal lato delle “Istituzioni” si stanno muovendo le acque e noi ci facciamo coinvolgere volentieri perché crediamo nella bontà di progetti come il Bike To shop oppure il bike to work”.

Parliamo di sicurezza in bicicletta.

“Di quella effettiva o di quella percepita dalle persone?” mi chiede Vittorio, “Perché effettivamente sono in tanti che si spaventano per l’eccessivo numero di auto in giro”.

Poi mi racconta di un suo compleanno fatto con una caccia al tesoro in giro per la città. Tutti quelli che volevano partecipare alla festa del suo compleanno dovevano arrivare in bicicletta. E così qualcuno dei suoi amici trentenni ha scoperto o riscoperto la bicicletta. Così adesso un suo vecchio amico porta la bambina a scuola in bicicletta.

Dice Vittorio guardando Francesca “Ciascuno di noi due è un pezzo di città che si muove con un mezzo diverso dalla macchina. Niente eroismi, solo vita normale fuori dalle macchine”.

E io penso che sia bello sentirlo dire e ripetere anche da persone giovani e senza pregiudizi che contribuiscono a rende re tutto normale, a fare rete, a fare gruppo, ad infondere anche in altri la convinzione di non essere soli e la convinzione che si può cambiare.

Che biciclette avete?

Francesca mi dice che ha una vecchia bicicletta Bianchi da donna che le ha regalato sua nonna cui tiene particolarmente, nonostante non sia il mezzo migliore mentre Vittorio pedala su una Taurus dopo aver usato per anni bici da battaglia. Riemerge il problema dei furti ma anche la gentilezza con la quale molti gestori dei locali che frequentano acconsentano che le biciclette siano portate all’interno. Le loro bici stanno in casa, in salotto, un po’ come il cane. Una sorta di affezione, non solo come mezzo di trasporto ma anche come oggetto di cui prendersi cura.

Alla bicicletta sono legati tanti ricordi. Soprattutto di Copenahghen.

E Francesca mima con le mani gli spazi destinati ai pedoni, poi quelli per le macchine e alla fine ridendo apre le braccia ed indica lo spazio destinato alle biciclette.

Quanto lavoro c’è ancora da fare per la ciclabilità in città?

Tanto lavoro, soprattutto perché spesso le ciclabili non sono interconnesse. Serve una rete sicura dove potersi spostare. Spesso i genitori (Vittorio dice le mamme) non si fidano a mandare i ragazzi a scuola da soli in bicicletta. Ed è un peccato perché il pericolo non è rappresentato dalle biciclette ma da chi le biciclette spesso non le usa.

Il tempo è volato, abbiamo chiacchierato e sorriso per un’ora condividendo un tema importante come quello della mobilità declinata in maniera leggera e poco impattante.

Ci salutiamo e li lascio alla loro freschezza, contento di averli conosciuti. Con la conferma che le cose possono cambiare, anche grazie a loro che ci credono davvero.

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